Il presidente dell’associazione degli agenti marittimi, Michele Pappalardo, che percepisce segnali preoccupanti sulla tenuta degli scali italiani e denuncia l’immobilismo sulla riforma portuale. Una soluzione è la netta specializzazione dei porti. “L’anno appena concluso non è stato dei più facili, sicuramente è stato un altro anno di crisi, di grossi problemi”, esordisce Michele Pappalardo, presidente della Federazione Federazione Nazionale degli Agenti Raccomandatari Marittimi e Mediatori Marittimi (Federagenti), a margine dell’incontro di fine anno organizzato a Genova da Assagenti. “Da un lato c’è stata la continua evoluzione del mondo dello shipping, dall’altro si continua ad assistere a un immobilismo pressoché totale sulle azioni che si dovrebbero intraprendere in Italia per sviluppare i nostri porti”.
Il presidente degli agenti marittimi nazionali prosegue: “Per alcuni scali, l’anno si chiude comunque in positivo, come nel caso di Genova, ma nel complesso, secondo le prime stime che stanno emergendo, registriamo una flessione sul totale delle merci movimentate. Considerando che quel dato non si muove da dieci anni, è preoccupante rilevare una simile decrescita. Dovremmo riflettere, perché ciò avviene in una fase di aumento, pur lieve, del commercio internazionale. L’Italia e impreparata a sostenere volumi di traffico che vanno nella direzione dei commerci, del gigantismo navale, delle nuove rotte e non riesce ad acquisire i nuovi mercati. Dobbiamo muoverci immediatamente”.
Pappalardo evidenzia che Italia è già in atto una sorta di selezione naturale dei porti – con solo cinque o sei scali coinvolti dalle grandi linee internazionali di traffici container – e invita a guardare anche ad altre opportunità di business: “Affermo da sempre che in Italia non si muovono solo contenitori. Tanto è vero che, quando andiamo a esaminare le merci movimentate, solo circa il 25% viaggia su container. Il resto riguarda liquidi, rinfuse, ro-ro, quindi altre categorie di mezzi di trasporto e di merci”.
Questa situazione, prosegue il presidente di Federagenti, indica che l’intero sistema non può contare solo sui container. “È anche evidente che la realtà dei porti italiani è talmente frammentata e polivalente, che sarebbe assurdo pensare che tutti gli scali debbano avere un segmento che si occupa di contenitori. Bisogna selezionare quei quattro o cinque porti che gestiscono al meglio i container, accogliendo le grandi navi e convogliando i contenitori verso l’hinterland”.
Pappalardo si sofferma anche sulla tendenza al gigantismo navale nei container e le sue conseguenze sui porti: “Per accogliere queste navi, non basta avere un fondale di 16 o 17 metri, banchine e le gru adeguate per lavorare sulle portacontainer di ultima generazione, ma bisogna anche muovere quell’enorme quantitativo di contenitori che sbarca nel porto. Stiamo rilevando che alcuni porti del Nord Europa e degli Stati Uniti stanno già cominciando a soffrire di congestione”.
Il presidente di Federagenti propone quindi una doppia classificazione dei porti: “Per i container, suggerisco di concentrasi su pochi porti che hanno fondali e strutture idonee, una vocazione a essere scali gateway, nonché una seria politica logistica di terra. Gli altri devono ritagliarsi ruoli diversi, che non mancano: innanzitutto le autostrade del mare, soprattutto in Sud Italia, per creare un ponte con l’Africa. Ritengo che lavoro da fare ce ne sia parecchio”. Ma con il Piano nazionale della portualità è della logistica si arriverà davvero a un’efficace riforma portuale? “Penso che questo sia l’ultimo tram. Cerchiamo di prenderlo dunque”, risponde seccamente Pappalardo.
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