Mentre l’Autorità Portuale rilancia a Bruxelles il progetto di scalo in acque profonde per portacontainer e petroliere, al Senato appare la richiesta di destinare i 95 milioni stanziati dal Decreto Stabilità per i primi lavori sul versante terrestre. Il passaggio al Senato del Decreto Stabilità riaccende la battaglia sul progetto del nuovo porto offshore di Venezia, realizzato dall’Autorità Portuale, che un paio di anni fa aveva scatenato un contrasto con il vicino scalo di Trieste, che a sua volta sta sviluppando le infrastrutture per accogliere portacontainer più grandi. In gioco ci sono ora 95 milioni stanziati dal Decreto Stabilità per le opere onshore di tale progetto, ossia quelle sul versante terrestre destinate ad accogliere i container scaricati sulle banchine offshore e trasportate da speciali navette.
Due senatori, Antonio Russo e Marco Filippi, hanno stilato un documento (che secondo Assologistica, che lo ha diffuso, avrebbe già raccolto una cinquantina di firme di colleghi della maggioranza e dell’opposizione) che propone di destinare quei 95 milioni ad altri progetti “che potenzino tutte le strutture logistiche e portuali già esistenti, primi tra tutti Ravenna, Venezia e Trieste”.
I due senatori spiegano che questa “non è una battaglia di campanile”, ma ritengono che tale progetto sia “sproporzionatamente costoso e, nel merito, considerato irrealizzabile ed antieconomico dagli stessi operatori portuali, se non altro per i costi derivanti dalla rottura di carico che la nuova struttura prevederebbe”.
Viceversa, il Piano della portualità “si ripropone di concentrare i fondi disponibili su poche opere davvero necessarie ci chiede progetti sostenibili, integrati e possibilmente sostenuti da una preventiva disponibilità dei privati di accollarsi gli oneri delle nuove opere”. E, concludono che “il porto offshore di Venezia non rientra in questo parametro”.
Nel giro di poche ore è giunta la replica del presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, che proprio due giorni prima aveva presentato il progetto offshore al Techitaly di Bruxelles. Costa ribatte che questo investimento “è apprezzato dalla comunità finanziaria internazionale perché capace di un tasso di rendimento interno non inferiore al 13% e documentato dalle analisi condotte da Pricewaterhousecoopers su progetto redatto da Royal Haskoning e BMT Triton e su una analisi di mercato di MDS Transmodal”. Egli ricorda anche che il ministero dell’Ambiente ha valutato positivamente l’impatto ambientale del nuovo porto.
Costa difende i 95 milioni della Legge di Stabilità, che dovrebbero “correggere l’errore della Sblocca Italia e che servono per finanziare lavori da condurre nel 2015 per la parte onshore (a terra) del sistema e quindi utilizzabile fin da subito”. Dal punto di vista operativo, il presidente dell’Autorità veneziana sostiene che il porto offshore “restituisce al porto di Venezia quella accessibilità nautica che con le barriere del Mose é andato generosamente sacrificando per la salvaguardia della città lagunare”.
Infine, Costa sostiene che la struttura può contribuire anche allo sviluppo di Trieste e Ravenna e perfino di Capodistria e Fiume: “perché è necessario che l’intero Alto Adriatico raggiunga le dimensioni di scala minime per competere sul mercato europeo”.
Si riaccende la guerra sul porto offshore di Venezia
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